La
verità è che non è riuscito a suscitare un sentimento forte attorno ad una idea
altrettanto forte. Quella che avevano alcuni dei governi del passato.
E’ tempo di
bilanci per Matteo Renzi. Non perché è finito un anno e ne è cominciato un
altro. E’ tempo di bilanci perché la sua esperienza volge al termine e
difficilmente potrà aggiungere qualcosa a ciò che ha fatto o non fatto.
Le varie
congiunture propizie che dovevano fungere da propellente alla sua azione
riformatrice si sono esaurite. La immissione di liquidità della BCE ha portato
qualche beneficio soprattutto alle banche. Ma non ha fatto decollare la ripresa
che ci si attendeva. Gli indicatori ai quali si guarda spasmodicamente, posti
di lavoro, crescita del PIL, fiducia, sono e vengono letti in maniera contraddittoria
da troppo tempo. E discutere continuamente se l’Italia va meglio o peggio è, di
per se, conferma che la crisi non passa.
Perfino il
“trofeo” delle riforme costituzionali e della nuova legge elettorale, che i
frettolosi incensatori avevano indicato come segno indiscutibile del trionfo
dell’ex sindaco di Firenze minaccia di trasformarsi nel più formidabile dei
boomerang. Per le riforme costituzionali ci sarà un referendum che diventerà
piuttosto un voto su Renzi. E con l’aria che tira…. La legge elettorale,
lasciata come è, con il premio di maggioranza alla lista, da guinzaglio in mano
a Renzi per tenere sotto controllo i riottosi, è ormai il suo spauracchio: i
sondaggi sono da fare paura, perché Grillo ora sembra incalzare se non,
addirittura, sorpassare. E se il centrodestra dovesse unirsi…..
Modificare
l’Italicum, dunque, concedendo il premio di coalizione e gli apparentamenti?
Peggio che andare di notte. Come capo di una coalizione necessariamente
rissosa, l’appeal non sarebbe lontanamente equiparabile a quello del
rottamatore, l’uomo che sfascia tutto e “asfalta” tutti, che è stata fino ad
oggi, l’arma vincente.
Renzi potrebbe
andare a casa. Con un pugno di mosche. Perché l’Italia è la solita del 2013.
Divisa per tre aree equivalenti e con un centrodestra che, politicamente e
organizzativamente inesistente, potrebbe ancora vincere, in coalizione o in una
sola lista.
Le ragioni del
fallimento che gli vengono rinfacciate sono ora le stesse che venivano indicate
come alla base del suo successo.
La verità è che
non è riuscito a suscitare un sentimento forte attorno ad una idea altrettanto
forte.
Quella che
avevano alcuni dei governi del passato: ricostruzione, difesa della libertà e
Occidente (i governi centristi degli anni ‘50); riforme vere e incisive (i
governi di centrosinistra degli anni ’60); stato liberale (Berlusconi, che
purtroppo lo ha evocato soltanto, senza realizzarlo).
Renzi si è
limitato al canovaccio tutt’altro che nuovo del “via i vecchi, dentro i nuovi”,
senza nemmeno tenere fede all’impegno: si vada nelle province della penisola, e
ci si accorgerà di quanto il suo carro sia affollato di vecchie cariatidi aduse
a voltare la giubba ad ogni soffio di vento. La conseguenza è che siamo punto e
a capo. Come, del resto, avevamo visto e previsto tutte le volte che l’ex
presidente Napolitano invece di registrare il significato del voto degli
elettori lo aveva annullato insediando governi senza legittimazione popolare. I
problemi, avevamo scritto, si ripresenteranno aggravati; e questo sarà ancora
peggio del disprezzo della nostra Costituzione palesemente oltraggiata.
E’andata
proprio così, purtroppo.
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